Costruire una nuovo modo di fare politica è il nostro sforzo.
Non è facile, non lo è per chi - come noi- è cresciuto e vissuto fino ad oggi nel vecchio. Per questo abbiamo bisogno dell'aiuto di chi ,oggi ,ha a cuore l'ideale della sinistra.
Abbiamo bisogno di quegli uomini e donne, di quegli studenti o lavoratori, di quei giovani o adulti o anziani che per la loro storia, la loro vita, il loro presente e il loro passato pensano ad un nuovo futuro.
Ambizioso?
Sì, ma senza un ideale gratuito e appassionato all'orizzonte che senso avrebbe impegnarsi...

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martedì 14 agosto 2007

Il socialismo non ha più parole da spendere?Non ha più verità da dire?Non ha più bugie da smascherare?


Di fronte a una svolta storica come quella che si sta profilando nella rapidità dei tempi che ci sono stati imposti, non possiamo esimerci dal fare, prima che valutazioni tecnicamente politiche, analisi dell’attualità storica e culturale che – si dice – sembra aver reso indispensabile l’eliminazione dell’identità socialista del partito.
L’attualità italiana ci parla di un centro sinistra che si credeva certo di vincere le elezioni politiche del 2006 dopo la tragedia del governo Berlusconi e che , invece, ha dovuto amaramente constatare una sconfitta culturale. Governiamo il paese per poche manciate di voti dopo aver fatto cinque anni di dura opposizione alle roccaforti del centro destra.. Governiamo ma non abbiamo vinto.
Ha vinto, invece, il modello culturale di matrice berlusconiana di cui anche noi, ahimè, siamo vittime. Il modello del monopolio delle masse attraverso una politica che ha lasciato da parte i discorsi intensi, le analisi sofisticate, per concentrarsi su pochi slogan, la politica delle masse che molto spesso dimentica del ruolo di guida che ha rispetto alle esigenze del popolo. Da dove nasce il progetto del partito democratico se non da qui? Porre un nuovo soggetto politico, che abbia nome appetibile e valori di riferimento che se sono proponibili sulla carta diventano improponibili nella realtà, laddove si dovrebbe assistere alla fusione di due con storie ed identità così diverse da non poter permetter, oggi, sintesi unitarie se non passando attraverso la difficile via del compromesso costante e continuo che non garantirà mai alcuna stabilità , bensì, la lottizzazione di posizioni di potere, di poltrone tra le varie correnti che la faranno da padrone. Il compromesso è il sale della politica, direte voi, è vero: ma lo è quando ciascuna delle parti in gioco ha una sua identità, una casa di riferimento a cui tornare, non quando quella casa è stata tolta e se ne è creata, a forza, una unica, che non ha storia e non ha identità.
Il partito democratico oggi si configura più come uno slogan: un slogan curato nella forma ma trasandato nei contenuti.
Ora chiediamoci: è questo che la società vuole, un partito che nasce per prendere consensi? Un partito che nasce per intercettare il voto degli incerti e che, per far questo, si gioca la cultura e la storia delle due grandi entità che lo compongono, Ds e Margherita.?
Cari compagni, la politica si fa per vincere? Si fa esclusivamente per prendere potere?
Questo è l’insegnamento imperante del berlusconismo odierno, di cui noi – ripeto - siamo vittime ma anche co-artefici
Un berlusconismo che , dobbiamo dircelo, ha vinto perché ha fatto credere al piccolo-borghese, in fondo a noi tutti, che quel che conta è diventare importante, è poter misurare il proprio successo sulla potenza della cilindrata della macchina. Si è creato un modello di uomo, di lavoratore , di società modellato sui desideri e sui consumi. Ecco perché oggi nella fabbriche non ci votano, ecco perché non siamo più interpreti dei bisogni: perché oggi il bisogno preponderante diventa, paradossalmente, comprare la macchina potente e magari ipotecarsi la casa.
Nella società dello spettacolo come quella che si è creata, e che noi abbiamo lasciato creare, ci si sta giocando la libertà: il lavoratore , il cittadino preferiscono il dominio delle apparenze, si compiacciono di questo; credono che il mercato, il consumo darà loro potere e libertà ma non si rendono conto, presi nel vortice dell’apparire, che i veri dominatori sono altri. Non si rendono conto che il gioco è rischioso: nascondere la propria minorità economica e sociale attraverso l’apparenza, vergognarsi della propria minorità economica e dissimularla, non dirla e dunque non lottare per riscattarla.
In questo contesto, il compito del socialismo non è finito, non è neppure iniziato.
Il nostro sguardo deve farsi acuto, deve farsi interprete lungimirante dell’ attualità che viviamo. Il nostro sguardo deve vedere che se è finito il modello fordista del lavoro, se oggi – nelle fabbriche - non c’è più il conflitto del passato, questo non può significare che ci sia stato un miglioramento nella presa di coscienza del lavoratore. Le macchine ,oggi ,non sono più qualcosa di esterno, oggi l’uomo non è aggiogato dal padrone, il mercato non violenta più il lavoratore e così annienta il conflitto.
Il nuovo modello di lavoro , post fordista, penetra invece nella vita stesa dell’uomo, diventa la sua seconda pelle e fa ciò che è il vero, ultimo obiettivo; l’obiettivo che il mercato, che il capitalismo non è mai davvero riuscito a realizzare nella fabbrica fordista: la penetrazione sottocutanea del mercato nel lavoratore, lavoratore e consumatore si sovrappongono. Allora il lavoratore non è più separato dalla merce ma la merce è la sua seconda pelle. Le merci parlano, diventato gadget, moda, spettacolo: diventano la realtà finta a cui il lavoratore piccolo borghese crede. Oggi questo lavoratore , questo cittadino non chiede una società diversa, chiede solo che gli sia lasciata l’illusione: l’illusione di essere libero.
In quest’ ottica, io mi chiedo ancora: il socialismo non ha più parole da spendere?
Non ha più verità da dire?
Non ha più bugie da smascherare?
Se ci guardiamo davvero intorno non possiamo che vedere la necessità, l’esigenza e l’urgenza di ri-cominciare a parlare. E dico ri-cominciare perché, di fatto,abbiamo smesso da molto tempo di parlare sentendo davvero nostra storia e la nostra identità, abbiamo da tempo smesso di interpretare la realtà secondo le categorie che ci sono proprie.
Oggi non possiamo rinunciare al socialismo, non è ancora tempo di lasciare i nostri valori e le nostre lotte annacquandoli nell’indistinto di un partito unitario privo di identità.
La società ha bisogno della nostra azione.
Forse ha bisogno di una nuova forma di partito, ha necessità di un entità politica di forme flessibili, aperta a tutte quelle realtà intermedie che formano le coscienze e le persone,. Forse, anzi, sicuramente la forma necessita di essere cambiata e svecchiata.
Ma non confondiamo forma e contenuto come fa comodo a qualcuno.
Se dobbiamo parlare alla gente dovremo trovare modi nuovi, ma i nostri contenuti rimangono il sale dell’azione.
Concludo riflettendo su qualcosa che mi ha colpito molto nel dibattito che da mesi affrontiamo: il richiamo costante alla figura e al pensiero di un leader importante del nostro partito quale Enrico Berlinguer. Io non ho conosciuto la sua forza e il suo carisma, forza e carisma di cui vedo traccia nelle parole dei compagni che di lui parlano e raccontano.
Non voglio entrare nel gratuito dibattito sul “cosa avrebbe fatto Berlinguer oggi”, io non lo so e probabilmente non lo sanno nemmeno coloro che lo citano spesso a suffragio delle loro tesi. Però c’è una frase che mi ha molto colpito, un passo di una lunga intervista del luglio 81, parole che vi confesso mi hanno particolarmente coinvolto e che voglio qui riportare
<< Noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità>>
Compagni sciogliere oggi il nostro essere socialisti per la speranza di poter aver più larghi spazi potere non è ciò per cui siamo nati, non è il ruolo che abbiamo, non è ciò che la società ci chiede.


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