Quando ci si impegna in un percorso nuovo, quando si lascia la casa in cui si è sempre stati poichè essa è andata distrutta da chi pansava fosse meglio costruirne un'altra, quando ci si trova a scrivere e pensare idee programmatiche migliori, quando si crede di poter costruire un movimento nuovo ... allora bosogna mettersi al tavolo: parlarsi, confrontarsi e ricominciare a studiare ciò che è alle origini, ciò che - seppur vecchio-è rimasto incompiuto.
Leggiamo Gramsci e troviamo ciò di cui ancora oggi -a distanza di oltre settant'anni - parliamo: crisi della rappresentanza, dall'intellettuale al politico.
<<L'errore dell'intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed essere appassionato (...), cioè nel credere che l'intellettuale possa essere tale se distinto e staccato dal popolo-nazione, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo, comprendendole e quindi spiegandole e giustificandole nella determinata stuazione storica(...); non si fa politica-storia senza questa passione . In assenza di tale nesso i rapporti dell'intelletuale con il popolo-nazione sono o si riducono a rapporti di ordine puramente burocratico, formale; gli intelletuali diventano una casta (...). Se il rapporto tra intelletuali e popolazione , tra dirigenti e diretti, tra govrnanti e governati, è dato da un'adesione organica in cui il sentimento-passione diventa comprensione e quindi sapere, solo allora il rapporto è di rappresentanza e avviene lo scambio di elementi individuali tra governati e governanti...>>
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